19. Il rapporto con la natura dei giapponesi e i giardini delle esposizioni internazionali

Fig. 46 – L’imperatrice Elisabetta di Baviera in visita al giardino giapponese dell’esposizione universale di Vienna del 1873.

Fig. 46 – L’imperatrice Elisabetta di Baviera in visita al giardino giapponese dell’esposizione universale di Vienna del 1873.

Partiamo dai giardini giapponesi accennando ad uno degli elementi cruciali per il successo del Japonisme: il rapporto col mondo naturale dei giapponesi1Akiki Mabuchi, Japonisme et Naturalisme, in Shuji Takashina, Galeries Nationales d’Exposition du Grand Palais, Kokuritsu Seiyo Bijutsukan (direction de la publication), Le Japonisme, op. cit., pp. 34-47.. Seguendo l’esempio degli artisti orientali, i pittori in Europa tornarono a trovare ispirazione “dalla pianta, dal frutto e dal fiore [guardando] più da vicino il filo d’erba che si piega sotto il peso di un insetto” Per Edward Sylvester Morse “nessuna nazione civile sulla faccia della terra [superava] i giapponesi nell’amore per la natura in ogni aspetto”2Edward Sylvester Morse, Japan Day by Day, 1877, 1878-79, 1882-83, Boston-New York, Houghton Mifflin, 1917, t. 1, p. 252.. Louis Gonse rimarcò poi l’accento sul “ruolo che i fiori svolgono nella vita della gente del posto”3Louis Gonse, L’art japonais, op. cit., vol. I, pp. 95-100.. Presto agli europei non interessarono più solo le rappresentazioni, ora avrebbero gradito anche coltivare qualche pianta giapponese, una necessità che in qualche anno fu recepita dal nuovo governo dell’imperatore Meiji. Tra i primi giardini giapponesi si possono segnalare quelli realizzati nei padiglioni delle esposizioni internazionali, un’occasione per incrementare l’esportazione di piante ed arredi da giardino e introdurre al pubblico i significati sottesi in delle opere paesaggistiche che avevano richiesto secoli di elaborazioni concettuali per arrivare allo stato in cui erano nella seconda metà del XIX secolo4Non fu una impresa facile, per molti occidentali i giardini rimasero fin troppo curiosi e incomprensibili, Christian Tagsold, Spaces in Translation. Japanese gar- dens and the West, Philadelphia, Penn – University of Pennsylvania Press, 2017, p. 59.. Abbiamo già accennato all’esposizione universale di Vienna del 1873, la prima organizzata dal governo imperiale. Per l’occasione venne montato un padiglione shinto perché l’imperatore Meiji prediligeva questa religione nazionale al buddismo, ma i santuari shintoisti non presentano quasi mai giardini importanti, al contrario dei templi buddisti caduti temporaneamente in disgrazia5Christian Tagsold, Spaces in Translation, op. cit., p. 51.. Anche se attirò l’attenzione dell’imperatrice Elisabetta di Baviera (1837–1898) in visita6Fu pubblicato sul periodico ‘Über Land und Meer’, n. 40 1873. (fig. 46) il giardino viennese non era il fulcro dell’allestimento e va visto quindi come un primo approccio parzialmente riuscito. Nel 1876 all’esposizione di Filadelfia7Il nome completo era: esposizione centennale delle arti, della manifattura e dei prodotti del suolo e delle miniere di Filadelfia (1876). venne realizzato poi il primo giardino nipponico negli Stati Uniti, ma il lotto di terreno accanto al bazar era sacrificato e l’effetto “era ben lontano da quello di un tipico giardino giapponese”8Clay Lancaster, The Japanese Influence in America, New York, Walton H. Rawls, 1963, pp. 189-215.. L’impostazione del giardino realizzato per l’esposizione universale di Parigi del 1878 fu affrontata meglio: la commissione imperiale aveva infatti pensato a questo giardino come l’occasione per cominciare a presentare al pubblico le piante giapponesi utilizzate nel verde ornamentale e riuscì finalmente nell’intento9“Le piante giapponesi in mostra nei giardini del Trocadéro sono quelle che si trovano più frequentemente nei giardini del Giappone. Possono essere utilizzate per dare una certa idea del giardino giapponese”, Commission impériale japonaise à l’Exposition universelle de Paris de 1878, Le Japon à l’Exposition universelle de 1878, Paris, Commission impériale du Japon, 1878, p. 188., il giardino tra l’altro era collocato nel parco del Trocadero, a poca distanza dal Palazzo10Era un edificio ispirato all’architettura araba e bizantina, fu edificato apposita- mente per l’esposizione e venne demolito nel 1937, in occasione dell’esposizione universale dello stesso anno, per costrirvi il Palazzo Chaillot ancora esistente. in cui Charles Ephrussi e Louise Cahen d’Anvers stavano esponendo le loro amate lacche giapponesi11Christian Tagsold, Spaces in Translation, op. cit., pp. 54-55..

Note

  • 1
    Akiki Mabuchi, Japonisme et Naturalisme, in Shuji Takashina, Galeries Nationales d’Exposition du Grand Palais, Kokuritsu Seiyo Bijutsukan (direction de la publication), Le Japonisme, op. cit., pp. 34-47.
  • 2
    Edward Sylvester Morse, Japan Day by Day, 1877, 1878-79, 1882-83, Boston-New York, Houghton Mifflin, 1917, t. 1, p. 252.
  • 3
    Louis Gonse, L’art japonais, op. cit., vol. I, pp. 95-100.
  • 4
    Non fu una impresa facile, per molti occidentali i giardini rimasero fin troppo curiosi e incomprensibili, Christian Tagsold, Spaces in Translation. Japanese gar- dens and the West, Philadelphia, Penn – University of Pennsylvania Press, 2017, p. 59.
  • 5
    Christian Tagsold, Spaces in Translation, op. cit., p. 51.
  • 6
    Fu pubblicato sul periodico ‘Über Land und Meer’, n. 40 1873.
  • 7
    Il nome completo era: esposizione centennale delle arti, della manifattura e dei prodotti del suolo e delle miniere di Filadelfia (1876).
  • 8
    Clay Lancaster, The Japanese Influence in America, New York, Walton H. Rawls, 1963, pp. 189-215.
  • 9
    “Le piante giapponesi in mostra nei giardini del Trocadéro sono quelle che si trovano più frequentemente nei giardini del Giappone. Possono essere utilizzate per dare una certa idea del giardino giapponese”, Commission impériale japonaise à l’Exposition universelle de Paris de 1878, Le Japon à l’Exposition universelle de 1878, Paris, Commission impériale du Japon, 1878, p. 188.
  • 10
    Era un edificio ispirato all’architettura araba e bizantina, fu edificato apposita- mente per l’esposizione e venne demolito nel 1937, in occasione dell’esposizione universale dello stesso anno, per costrirvi il Palazzo Chaillot ancora esistente.
  • 11
    Christian Tagsold, Spaces in Translation, op. cit., pp. 54-55.