17. Il complesso di Torre Alfina

Fig. 44 – La terrazza del Castello di Torre Alfina. illustrazione.

Fig. 44 – La terrazza del Castello di Torre Alfina. illustrazione.

Veniamo al giardino di Torre Alfina, il maniero di Edoardo e Teofilo-Rodolfo che con la sua “aura premoderna”1Paolo Pellegrini, Ebrei a Orvieto, op. cit.. era testimonianza di epoche storiche ancora più lontane nel tempo rispetto a quelle restaurate a Champs 2Massimo Marini, Castello di Torre Alfina, in Maria Christina Bruscioni (a cura di), Giuseppe Partini Architetto del Purismo senese, Firenze, Electa, 1981, pp. 173- 74; Renzo Chiovelli, Daniela Esposito, Un “castello a forme medievali”. Restauri neomedievali dell’architeto purista senese Giuseppe Parini, in: Annunziata Maria Oteri (a cura di), Viollet-le-Duc e l’Ottocento : Contributi a margine di una celebra- zione (1814-2014), Reggio Calabria, Laboratorio CROSS Università Mediterranea di Reggio Calabria, 2017, pp. 315-343.. Il castello era un manifesto del gusto neogotico dei suoi proprietari, sotto l’egida dell’architetto francese Eugène Viollet-le-Duc (1814–1879). Con uno stile eclettico, aperto a influenze tanto senesi quanto internazionali, l’antica tenuta di Torre Alfina diventò uno stravagante e ricercato gioiello dell’architettura revival, dove i Cahen crearono il loro regno e rifugio. Le sale del castello vennero arricchite con un importante corpus di quadri e con un prestigioso insieme di mobili dalle diverse provenienze. Gli arazzi fiamminghi facevano da sfondo ai como intarsiati di Boulle, alle pendole di artigianato tedesco e agli scrittoi in radica, che raccoglievano un’impressionante collezione di argenteria e bronzetti moderni, accumulandosi sui tappeti persiani 3Alice S. Legé, L’opera di Henri e Achille Duchêne, op. cit., pp. 152-165.. Il castello esprimeva un atto di forza. Baluardo di una famiglia di investitori che costruiva il proprio futuro sull’estetica del passato, era una vera e propria cassaforte. All’ingresso del cortile, il grande portale di legno rivestito di metallo tracciava una chiara linea simbolica. Qui, lo stemma dei Cahen d’Anvers segnava il passaggio che separava la tenuta di famiglia dal Villaggio e dal resto della terra: un edificio dalle forme ostili, capace di evocare un passato aulico e un presente esclusivo. Le terrazze del castello per- mettevano ai visitatori di osservare il resto dei giardini da una posizione privilegiata, pregustandone la pace e armonia. Più in basso si sviluppavano i giardini veri e propri, divisi in più aree con partizioni alla francese 4Pompei ne parlò in questi termini: “altro grazioso lavoro, fra i tanti, è quello del giardino, con gentile pensiero fatto costruire […] nel principio della via del Sasseto e presso la rampa. Non è molto vasto, ma è ridente, con viali a disegno formanti aiuole ricche di fiori e piante esotiche, ed è tutto irrigabile”, Benito Camil- letti, Tommaso Pompei, Torre Alfina e il suo Castello, op. cit., p. 27.. Infine, la zona era fiancheggiata da lembi di foresta, il Sasseto a cui si poteva accedere grazie a sentieri rialzati che accompagnavano il visitatore nella natura vergine, secondo una moda d’Oltremanica che privilegiava la riscoperta della natura apparentemente libera da codici e da simmetrie forzate. L’anno 1895 costituisce quindi il termine post quem per la realizzazione dei giardini di Torre Alfina, ed è probabile che i lavori si siano conclusi nel primo decennio del Novecento. Questa datazione a cavallo tra i due secoli rende il giardino della proprietà umbro-laziale dei Cahen particolarmente emblematico: potrebbe infatti trattarsi di uno degli ultimi progetti seguiti da Achille Duchêne insieme al padre, che morì

in Bretagna nel 1902. Lo stesso passaggio generazionale avvenne dal lato dei committenti: anche se fu probabilmente Edoardo a chiamare i due francesi, non c’è dubbio che furono i suoi figli, soprattutto Teofilo-Rodolfo, a seguire l’andamento dei lavori e a godere dell’opera conclusa. Il bosco del Sasseto, con i suoi massi vulcanici coperti di muschio verdeggiante, esercitava una fascinazione troppo forte ed evidente per non essere presa in considerazione nel progetto di Torre Alfina: il bosco contornava i giardini e ne diventava parte integrante in maniera quasi spontanea. Il talento dei paesaggisti risiedeva nel domarne la natura, rendendola accessibile, e nel trattare la zona di giunzione tra il bosco e il giardino con una serie di aiuole e camminamenti che rendessero meno brusco il passaggio tra le due aree. A Torre Alfina è evidente una ricerca prospettica altrettanto profonda. Arroccato su un’altura, il castello volge la sua facciata ‘nobile’ (quella interna) su una corte anticamente in terra battuta o ghiaietto. Questa è separata dalla terrazza panoramica da una balaustra sagomata, elegantemente decorata da vasi e obelischi marmorei: si tratta, insieme alla siepe conformata a ‘palmetta’ che troveremo ad Allerona, di uno dei marchi di fabbrica dei Duchêne. La terrazza ospita un primo parterre, in cui le aree verdi si alternano rispettando un ritmo geometrico che tendeva a regolarizzare la superficie trapezoidale della terrazza stessa, costruita secondo le necessità spaziali del terrapieno (fig. 44). Il terrazzamento si conclude a nord-est con un punto panoramico circolare che corrisponde alla sommità di un torrione. Da qui lo sguardo scende seguendo la rampa di accesso al castello, fino ai giardini veri e propri, e poi ancora più giù, all’ombra del bosco. Il legame tra l’architettura, il giardino e il bosco è inestricabile: l’occhio è portato a seguire il pendio attraversando le varie aree, con una dinamica a cascata che oggi è parzialmente ostacolata dalle chiome degli alberi.

La terrazza era meno elaborata rispetto al resto dei giardini e, insieme alla semplicità della corte, permetteva di creare un effetto di meraviglia e sorpresa nel visitatore a cui veniva per- messo di accedere ai giardini veri e propri che si sviluppavano sul crinale. In questo senso, l’intero progetto era pensato come una forma architettonica, in grado di svilupparsi secondo un percorso predefinito composto da diversi ambienti. Dal ter- razzamento, che fungeva da vestibolo, si passava alle sale di rappresentanza, lungo un cammino vegetale che diventava il manifesto della volontà umana di dominare il disordine. Sul crinale, trovavano posto due ampi parterre, preceduti da una zona organizzata ad aiuole e decorata da una fontana. Questa era coronata da una copia della Venere Italica di Antonio Canova (1757–1822), che introduceva il visitatore in un ambiente dalle sfumature mitologiche. I due parterre, uno a pianta qua- drata e uno a pianta rettangolare sono tuttora scanditi da vasi di marmo sorretti da basamenti a pilastro, mentre delle strutture metalliche a ghirlanda ne definiscono i limiti servendo da supporto alle specie vegetali rampicanti (fig. 45). Al centro dei parterre troviamo due vasi più imponenti degli altri, le cui decorazioni alludono discretamente al culto di Bacco 5Simili a quelli di Champs sur Marne e Vaux le Vicomte già cita. Dal parterre principale si accede a un’altra zona in cui trovano po- sto le serre, un tempo collegate ai giardini alla francese da un comodo camminamento, che oggi è quasi invisibile.

Poco prima delle serre, dal lato della vallata, doveva partire il sentiero che scendeva nel bosco del Sasseto fino al mausoleo dove venne sepolto Edoardo. Con un progetto unitario che legava il bosco ai giardini, i Duchêne progettarono un tracciato di sentieri rialzati che si inerpicavano sul crinale permettendo al visitatore di percorrere il Sasseto in maniera piuttosto co- moda. Realizzati in terra battuta e protetti da cordoli di pietra realizzati a secco, questi camminamenti sono ancora ben conservati in tutta l’area del mausoleo: ricoperti dal muschio si stagliano nel paesaggio boschivo senza alterare “un vero tempio verde e fantastico […] un bosco di una natura sconvolgente, un intrico di alberi secolari, rampicanti, massi, caverne, varietà grandissime di flora lussureggiante” 6Il naturalista Franco Tassi, citato in: Mario Montalto, Vicende storiche di Torre Alfina, op. cit., p. 7.. Il mausoleo di Edoardo Cahen d’Anvers è un piccolo capolavoro dell’architettura neogotica. Non se ne conosce con certezza l’architetto, ma è presumibilmente attribuibile allo stesso Partini, che morì un anno dopo Edoardo. Circondato dal bosco, in una verdeggiante radura ai piedi del castello nella località del Laghetto il mausoleo di Torre Alfina conserva ancora tutto il suo fascino.

Figg. 45 – Il parterre alla francese con festoni del Castello di Torre Alfina.

Figg. 45 – Il parterre alla francese con festoni del Castello di Torre Alfina.

Note

  • 1
    Paolo Pellegrini, Ebrei a Orvieto, op. cit..
  • 2
    Massimo Marini, Castello di Torre Alfina, in Maria Christina Bruscioni (a cura di), Giuseppe Partini Architetto del Purismo senese, Firenze, Electa, 1981, pp. 173- 74; Renzo Chiovelli, Daniela Esposito, Un “castello a forme medievali”. Restauri neomedievali dell’architeto purista senese Giuseppe Parini, in: Annunziata Maria Oteri (a cura di), Viollet-le-Duc e l’Ottocento : Contributi a margine di una celebra- zione (1814-2014), Reggio Calabria, Laboratorio CROSS Università Mediterranea di Reggio Calabria, 2017, pp. 315-343.
  • 3
    Alice S. Legé, L’opera di Henri e Achille Duchêne, op. cit., pp. 152-165.
  • 4
    Pompei ne parlò in questi termini: “altro grazioso lavoro, fra i tanti, è quello del giardino, con gentile pensiero fatto costruire […] nel principio della via del Sasseto e presso la rampa. Non è molto vasto, ma è ridente, con viali a disegno formanti aiuole ricche di fiori e piante esotiche, ed è tutto irrigabile”, Benito Camil- letti, Tommaso Pompei, Torre Alfina e il suo Castello, op. cit., p. 27.
  • 5
    Simili a quelli di Champs sur Marne e Vaux le Vicomte già cita
  • 6
    Il naturalista Franco Tassi, citato in: Mario Montalto, Vicende storiche di Torre Alfina, op. cit., p. 7.