14. Il mondo nel giardino

Fig. 40 – Achille Duchêne
Il giardino come ‘specchio’ del mondo o addirittura dell’universo è una costante nella storia del giardino: a partire da Villa Adriana a Tivoli1 Elizabeth Barlow Rogers, Landscape Design. A Cultural and Architectural History, New York, Harry N. Abrams, 2001, pp. 91–95; Massimo De Vico Fallani, Mario Bencivenni (a cura di), Marie Luise Gothein, Storia dell’arte dei giardini, Firenze, Olschki, 2006, Vol. I, pp. 151–157. , dove l’imperatore più filo-ellenico della storia volle riproporre nel parco brani più significativi della geografia antica, passando per la Villa medicea di Pratolino dove il ‘Principe dello studiolo’ Francesco I tentò un alchemico controllo del mondo e della sfera celeste2 La Villa di Pratolino, commissionata dal figlio di Cosimo I e secondo Granduca, rimane uno dei giardini toscani più studiati; si rimanda per semplicità a: Costanza Riva, Pratolino: il sogno alchemico di Francesco I de’ Medici. Miti, simboli e allegorie, Livorno, Sillabe, 2003. . Per il XVII secolo è poi opportuno citare la cosmogonia ruotante intorno al Re sole, che venne realizzata nel 1674 per decorare il parterre di Versailles più vicino al castello3 Sui cambiamenti avvenuti nel parco di Versailles in seguito alla famosa festa del 1674 si veda: Chiara Santini, Il giardino di Versailles: natura, artificio, modello, Firenze, Olschki, 2007, p. 62. e quella, chiaramente ispirata dalla reggia borbonica, che si ritrova nel parterre del castello di Weikersheim, della famiglia degli Hohenlohe4 Ehrenfried Kluckert, Giardini d’Europa: dall’antichità a oggi, Köln, Konemann, 2005, p. 307. . Allargando gli orizzonti geografici e temporali si ricordano poi le cosmologie legate agli interventi paesaggistici delle civiltà precolombiane5 Si veda il capitolo Cosmology in the Landscape of the Americas: Spirit of Earth and Sky, in: Elizabeth Barlow Rogers, Landscape Design, op. cit., pp. 47–56. e il settecentesco Yuánmíng Yuán, da poco citato, dove gli imperatori della dinastia Qing, vollero rappresentare in miniatura gli scorci più belli del Celeste Impero6 Massimo De Vico Fallani, Mario Bencivenni (a cura di), Marie Luise Gothein, Storia dell’arte dei giardini, op. cit., pp. 881–884. . Durante il XIX secolo queste rappresentazioni del mondo diventarono ancora più intriganti per una serie di coincidenze: grazie allo storicismo si era giunti infatti ad un notevole livello di conoscenza degli stili passati; se ragioniamo poi in termini di disponibilità varietale per i giardini, va detto che alla fine dello secolo il panorama della flora mondiale era pressoché completo, grazie alle centinaia di esplorazioni botaniche che si erano succedute nel corso del tempo. Ma come potevano essere illustrate le zone con diversi significati storici o geografici? Bastava rifarsi ad una caratteristica dei giardini all’inglese: nella prima metà del XVIII secolo i parchi all’inglese si erano configurati come dei percorsi, spesso iniziatici, in cui delle tappe rappresentate da “scenari” dovevano suscitare sentimenti contrastanti con dei “siti allegri, solitari e melanconici, romanzeschi e solenni; e l’arte consisterà nello scuotere l’altrui immaginazione, e sensibilità con un’armoniosa catena di emozioni diverse, prodotte dal vario, dal nuovo, dal bello, dal ridente, e dal patetico”7 Ercole Silva, Dell’arte de’ giardini inglesi, Milano, Vallardi, 1813, Tomo I, p. 39. . Sostituendo gli ‘scenari’ con dei giardini a tema storico o geografico si otteneva il parco con le sue zone tematiche8 Si sono levate diverse critiche nei confronti dei giardini del periodo da parte degli storici del giardino. Fariello scrive: “Il giardino […] presenta segni di confusione. In esso confluiscono istanze varie ed elementi disparati non sempre assimilabili, che ne compromettono la sua stessa validità in quanto opera d’arte”; fino a Tagliolini che afferma: “Si entra nel gioco di un giardinaggio elegante e dilettantesco, che non manca talvolta di raggiungere effetti suggestivi, ma che è costretto nel tempo a perdere molta della sua originalità […] che caratterizza la creazione artistica”, Francesco Fariello, Architettura dei giardini, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, p. 167; Alessandro Tagliolini, Storia del Giardino Italiano. Gli artisti, l’invenzione, le forme dall’antichità al XIX secolo, Firenze, La Casa Usher, 1992, p. 370. Sulla questione dell’eccessiva infatuazione per gli stili passati si veda anche: Massimo De Vico Fallani, Mario Bencivenni (a cura di), Marie Luise Gothein, Storia dell’arte dei giardini, op. cit., pp. 1007–1008. Si tratta di critiche accese perché valutano i giardini come opere d’arte; l’artisticità e l’originalità non sono tuttavia l’unica chiave di lettura dei giardini di questo periodo: se interpretiamo il giardino di Allerona come una testimonianza della cultura della Belle Époque, ecco rivelarsi tutto il suo valore documentario. .
Note
- 1Elizabeth Barlow Rogers, Landscape Design. A Cultural and Architectural History, New York, Harry N. Abrams, 2001, pp. 91–95; Massimo De Vico Fallani, Mario Bencivenni (a cura di), Marie Luise Gothein, Storia dell’arte dei giardini, Firenze, Olschki, 2006, Vol. I, pp. 151–157.
- 2La Villa di Pratolino, commissionata dal figlio di Cosimo I e secondo Granduca, rimane uno dei giardini toscani più studiati; si rimanda per semplicità a: Costanza Riva, Pratolino: il sogno alchemico di Francesco I de’ Medici. Miti, simboli e allegorie, Livorno, Sillabe, 2003.
- 3Sui cambiamenti avvenuti nel parco di Versailles in seguito alla famosa festa del 1674 si veda: Chiara Santini, Il giardino di Versailles: natura, artificio, modello, Firenze, Olschki, 2007, p. 62.
- 4Ehrenfried Kluckert, Giardini d’Europa: dall’antichità a oggi, Köln, Konemann, 2005, p. 307.
- 5Si veda il capitolo Cosmology in the Landscape of the Americas: Spirit of Earth and Sky, in: Elizabeth Barlow Rogers, Landscape Design, op. cit., pp. 47–56.
- 6Massimo De Vico Fallani, Mario Bencivenni (a cura di), Marie Luise Gothein, Storia dell’arte dei giardini, op. cit., pp. 881–884.
- 7Ercole Silva, Dell’arte de’ giardini inglesi, Milano, Vallardi, 1813, Tomo I, p. 39.
- 8Si sono levate diverse critiche nei confronti dei giardini del periodo da parte degli storici del giardino. Fariello scrive: “Il giardino […] presenta segni di confusione. In esso confluiscono istanze varie ed elementi disparati non sempre assimilabili, che ne compromettono la sua stessa validità in quanto opera d’arte”; fino a Tagliolini che afferma: “Si entra nel gioco di un giardinaggio elegante e dilettantesco, che non manca talvolta di raggiungere effetti suggestivi, ma che è costretto nel tempo a perdere molta della sua originalità […] che caratterizza la creazione artistica”, Francesco Fariello, Architettura dei giardini, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, p. 167; Alessandro Tagliolini, Storia del Giardino Italiano. Gli artisti, l’invenzione, le forme dall’antichità al XIX secolo, Firenze, La Casa Usher, 1992, p. 370. Sulla questione dell’eccessiva infatuazione per gli stili passati si veda anche: Massimo De Vico Fallani, Mario Bencivenni (a cura di), Marie Luise Gothein, Storia dell’arte dei giardini, op. cit., pp. 1007–1008. Si tratta di critiche accese perché valutano i giardini come opere d’arte; l’artisticità e l’originalità non sono tuttavia l’unica chiave di lettura dei giardini di questo periodo: se interpretiamo il giardino di Allerona come una testimonianza della cultura della Belle Époque, ecco rivelarsi tutto il suo valore documentario.