13. I Cahen e il ‘Japonisme’ (III): le collezioni in Italia
Passiamo alle collezioni orientali del ramo italiano dei Cahen partendo da Edoardo, che nelle cronache della Roma umbertina veniva definito “uomo ricco amantissimo dell’arte”1Emma Perodi, Roma italiana, op. cit., p. 235.. Nel 1875 Edoardo fu tra i maggiori acquirenti di un’asta a Roma che comprendeva “una quantità bellissima di Vasi della Cina e del Giappone”2“Nei giorni scorsi alla Longara vedemmo affettuarsi [sic] la vendita di diversi capolavori artifici. Ne citiamo solo alcuni per brevità. […] Inoltre una quantità bellissima di Vasi della Cina e del Giappone, […] fra i compratori annoveravasi il conte Cahen, il sig. Fulld, il sig. Ripoon”, Le belle arti, in ‘Il Corriere di Roma’, I, n. 17 (24 Gennaro 1875), p. 131, citato in: Johannes Streicher, Intorno al metateatro di Iris, in Marcello De Angelis (a cura di), La danza delle note: breviario di storia della musica, Lucca, Libreria musicale italiana, 2002, p. 1245 che si ritrovano negli inventari del palazzo Núñez-Torlonia dove viveva la famiglia3Alice S. Legé (trad. Jennifer Donnelly) (21/03/2022), CAHEN D’ANVERS Hugo, op. cit.. L’interesse per l’arte orientale passò ad Hugo che un quarto di secolo più tardi, nell’anno 1900, intraprese con la moglie Ida l’esperienza che contraddistingueva i japonistes più fedeli: un viaggio in Giappone4I nomi di Hugo e della moglie Ida sono riportati nell’elenco dei viaggiatori che ritornavano dal Giappone utilizzando la “Empress of Japan”, conosciuta anche come la ‘Queen of the Pacific’, una nave di linea a vapore che collegava regolarmente Vancouver col Giappone, Passenger Departed, in ‘Japan Weekly Mail’, 4 aug. 1900, p. 134. Scrive de Waal: “Per comperare un pezzo di Giappone, la cosa migliore da fare era visitare il paese, vezzo che distingueva dagli altri japonistes personaggi come il vicino di casa di Charles, Henri Cernuschi, o l’industriale Émile Guimet, non per caso due dei più grandi collezionisti di arte Orientale”, Edmund de Waal, Un’eredità di avorio e ambra, op. cit., p. 35. . Non era così scontato fare un viaggio del genere: Isaac Camondo aveva espresso più volte il desiderio di recarsi nel paese per arrivare alla “fonte stessa di tutte le emozioni che le arti di questo paese gli procuravano”5Gustave Achille Gaston Migeon, Les oeuvres d’art d’extrême –orient, op. cit., pp. 81–90. Si veda anche: Nora Seni, Sophie Le Tarnec, Les Camondo, op. cit., p. 161. ma non lo fece. Lo stesso rammarico per un viaggio mancato lo provavano Georges Clemenceau ed Edmond de Goncourt, di fatto “solo i mercanti d’arte dell’Estremo Oriente erano spinti a viaggiare dalle necessità del loro mestiere, così come gli studiosi veramente curiosi, appassionati ed esigenti”6Véronique Teboul-Bonnet, Collection au féminin, op. cit., pp. 121–122. Si veda inoltre: Lionel Lambourne, Japonisme, op. cit., pp. 153–167.. Sicuramente Hugo e Ida riportarono dal viaggio una passione che era già stata stimolata dalle collezioni di cui abbiamo parlato finora. Nel viaggio di ritorno furono poi accompagnati anche da ‘Amida’ e ‘Zawa’, due cagnoline giapponesi che per l’orgoglio dei proprietari parteciparono nel 1901 a mostre canine milanesi e parigine. Nella mostra a Milano Amida, descritta come “Un meraviglioso piccolo cane giapponese bianco e nero”, sfoggiava un piccolo soprabito blu e colletto in piqué7Milan: A Fairly Good Attendance on Sunday at the Dog Show in Spite of Rain, in ‘The New York Herald, Paris’, Thursday, May 2, 1901, p. 3.. Nella mostra a Parigi, nella sezione “Japonais (chiennes)”, Amida vinse il primo premio e Zawa il secondo premio. Va aperta una piccola parentesi: nel Pantheon buddista ‘Amida’ è il Buddha che presiede al Paradiso di Occidente, per costruire un ‘giardino della terra pura’ è necessario realizzare una sala per Amida e uno stagno, quest’ultimo si può chiamare anche ‘Zawa’ 8Col termine di Zawa o Sawa si indica in Giappone una zona umida con vegetazione.. Difficilmente Hugo e Ida potevano saperlo, ma le cagnoline portavano nei loro nomi un po’ di storia del giardino giapponese. Ma veniamo alla collezione di Hugo: venne venduta nel 1934 in due aste, il 7-8 giugno nella Galerie Jean Charpentier (249 lotti) e l’11-13 giugno dell’Hôtel Drouot (417 lotti)9Entrambe le vendite attirarono una notevole attenzione da parte della stampa, totalizzando rispettivamente 965.000 e 183.000 franchi francesi, Alice S. Legé (trad. Jennifer Donnelly) (21/03/2022), CAHEN D’ANVERS Hugo, op. cit. I cataloghi sono i seguenti: Catalogue des objets d’art et d’ameublement principalement du XVIIIe siècle, porcelaines anciennes (…) objets d’art d’Extrême-Orient (…) composant la collection de M. Hugo Cahen D’Anvers, catalogue de vente, Paris, Galerie Jean Charpentier, 7 et 8 juin 1934; Catalogue des objets d’art et d’ameublement anciens et modernes (…), objets d’art d’Extrême-Orient (…) composant la collection de M. Hugo Cahen D’Anvers, catalogue de vente, Paris, Hôtel Drouot, 11–13 juin 1934.. È senza dubbio difficile ricostruire la consistenza delle collezioni che Hugo conservava ad Allerona, ma si possono fare delle ipotesi. La maggior parte degli oggetti furono acquistati dopo il ritorno a Parigi10Successive al 1920 sono le seguenti aste: 1922 Adolphe Worch; 1923 Adolphe Worch, Aloys Revilliod de Muralt; 1924 Eugène Garlin; 1925 marquis Frederick Oliver Robinson de Ripon chez Kemp; 1925 Général Cluzeau, F. Weber, J. Vallot, Charpenay; 1926 Castiglioni; 1927 P. Blondeau; 1928 M. de Ribes Christofle, vente faite à la Galerie Georges Petit; 1929 Professeur Gautier, M. Dormeuil, Madame Kann, Vicomtesse d’Andigné, Professeur Gautier; 1930 Duchesse Sforza, Roman, Refoulé; 1931 Wongyukky, Mme Orlandi; 1932 Sevadjian (con opere provenienti dall’asta Gonse del 1924); 1933 Madame G. Schwartz., ma alcune ceramiche cinesi furono acquistate dalla vendita all’asta nel 1915 della cantante Louise Balthy (1867–1925) e nel 1918 da quella di George Francis Robinson (1827–1909) I marchese di Ripon e vicerè dell’India dal 1880 al 1884. Vista la mancanza di provenienza, fa piacere pensare che alcune lacche giapponesi con rappresentazioni di sansui potessero provenire dal viaggio in Giappone, in particolare un set per la calligrafia composto da una scatola dei documenti (ryoshibako) e da scatola col set per la calligrafia (suzuribako) con la rappresentazione di un paesaggio collinare con torrente, pini e aceri (fig. 35). Nella stessa asta furono poi venduti due set esagonali per la cerimonia dell’incenso (kobako), uno con paesaggio collinare ed uno col giardino di un santuario11Senza provenienza è anche una bella scultura in legno rappresentante Kukai-Kobo-Daishi (774–835), il monaco che fondò la scuola buddista Shingon e introdusse la pianta del tè in Giappone. (figg.36-37). Meritano la segnalazione alcuni oggetti comprati successivamente, perché testimoniano comunque il legame tra Hugo e l’Oriente che non si esaurì con la vendita della Villa. Hugo raccolse un interessante corpus di dipinti cinesi, tibetani e giapponesi12Si segnala il kakemono con dipinto un falco appollaiato sul tronco di un salice, nel sigillo si legge il nome di Kano Sanraku (1559–1635), pittore e protetto del daimyō e shōgun Toyotomi Hideyoshi (1537–1598). Il dipinto proveniva dalla collezione Gonse ed era raffigurato nella monografia L’art japonais, posseduta da Hugo e messa anch’essa all’asta., un bel paravento – byobu del XVII secolo (fig. 38), oggetti in corno e, oltre alle porcellane cinesi delle dinastie Ming e Qing, un insieme di ceramiche giapponesi Imari e Kutani. Le arti plastiche erano rappresentate da un gruppo di sculture lignee e di bronzo 13Prevalentemente birmane, quelle di bronzo dorato erano soprattutto tibetane, tra le prime collezionate da un privato in Francia: Samuel Thévoz, <em>Le Tibet en France: collections, voyages, connaissances et réseaux</em>, in: <em>Collectionneurs, collecteurs et marchands d’art asiatique en France 1700–1939</em>, <em>2022</em>., e tra le lacche un gruppo di Inro proveniva in parte dalla collezione Dormeuil. L’attenzione del collezionista per i materiali rari si rifletteva anche nella presenza di mobilia in lacca Coromandel o ancora in una serie di tessuti e stoffe, tra cui una veste imperiale cinese in raso giallo con ricami policromi e frange di zibellino ed ermellino. Di provenienza imperiale erano che altri oggetti notevoli, tra questi, un grande paravento, un bruciaprofumi in smalto cloisonné (fig. 39), un bacile in porcellana decorato con smalti policromi e una grande psiche in legno intarsiato usciti dalla Cina intorno al 1900 ed entrati nelle collezioni Cahen nel 1925. Saccheggiati dalle collezioni imperiali, questi oggetti erano stati riportati in Francia dal generale Cluzeau, aiutante di campo di Régis Voyron, che aveva comandato il corpo di spedizione francese durante la rivolta dei Boxer (1899-1901). In quel periodo, i palazzi imperiali di Pechino furono pesantemente saccheggiati dalle truppe europee14Sul sacco del 1860 si veda: Bernard Brizay, Le sac du Palais d’Été. Seconde guerre de l’opium : l’expédition anglo-française de Chine en 1860, Monaco, Éditions du Rocher, 2011. Il saccheggio fu quasi pari a quello del 18 ottobre 1860, quando, durante la Seconda guerra dell’oppio, il complesso del Palazzo d’Estate-Yuánmíng Yuán fu spogliato dei suoi tesori, esposti a Fontainebleau come trofei, e dato alle fiamme. Come per le sue collezioni botaniche, gli oggetti d’arte collezionati da Hugo Cahen d’Anvers riflettevano il suo desiderio di inserire le bellezze di mondi lontani negli spazi della sua casa. Ad Allerona un disegno unitario legava i giardini alle collezioni, compresi gli ambienti di rappresentanza della Villa. Così, attraverso il disegno delle sue prospettive, attraverso i suoi esterni e interni, la Villa della Selva si presentava come lo specchio di un uomo del XX secolo che aveva conosciuto di persona l’Oriente. Spogliati di ogni sacralità, i manufatti europei ed orientali erano funzionali alla comprensione razionale e tassonomica del mondo. La ricerca, spesso illusoria, della comprensione dell’altro si mescolava al desiderio di dominare la realtà costruendo la propria immagine pubblica15Felice di condividere le sue scoperte, come faceva con le sue collezioni botaniche, Hugo contribuì dopo il trasferimento a Parigi a diverse mostre d’arte tenutesi nei primi decenni del XX secolo: il suo nome compare tra i precettori della mostra di giada tenutasi al Musée Cernuschi nel 1927, e anche tra quelli della XII Mostra delle Arti Asiatiche, sul tema “fiori e uccelli”, tenutasi presso la stessa istituzione nel 19.

Fig. 38 – Paravento - byobu della collezione Hugo Cahen d’Anvers.

Fig. 35 – Set per la calligrafia (suzuribako) con paesaggio (sansui) della collezione Hugo Cahen d’Anvers Figg. 36 – 37 Due scatole per il gioco dell’incenso (kobako) con paesaggio (sansui) e con giardino della collezione Hugo Cahen d’Anvers.
Figg. 36 – 37 Due scatole per il gioco dell’incenso (kobako) con paesaggio (sansui) e con giardino
della collezione Hugo Cahen d’Anvers.

Fig. 39 – Bruciatore cinese imperiale in smalto cloisonné della collezione Hugo Cahen d’Anvers.
Hugo Cahen d’Anvers.
Note
- 1Emma Perodi, Roma italiana, op. cit., p. 235.
- 2“Nei giorni scorsi alla Longara vedemmo affettuarsi [sic] la vendita di diversi capolavori artifici. Ne citiamo solo alcuni per brevità. […] Inoltre una quantità bellissima di Vasi della Cina e del Giappone, […] fra i compratori annoveravasi il conte Cahen, il sig. Fulld, il sig. Ripoon”, Le belle arti, in ‘Il Corriere di Roma’, I, n. 17 (24 Gennaro 1875), p. 131, citato in: Johannes Streicher, Intorno al metateatro di Iris, in Marcello De Angelis (a cura di), La danza delle note: breviario di storia della musica, Lucca, Libreria musicale italiana, 2002, p. 1245
- 3Alice S. Legé (trad. Jennifer Donnelly) (21/03/2022), CAHEN D’ANVERS Hugo, op. cit.
- 4I nomi di Hugo e della moglie Ida sono riportati nell’elenco dei viaggiatori che ritornavano dal Giappone utilizzando la “Empress of Japan”, conosciuta anche come la ‘Queen of the Pacific’, una nave di linea a vapore che collegava regolarmente Vancouver col Giappone, Passenger Departed, in ‘Japan Weekly Mail’, 4 aug. 1900, p. 134. Scrive de Waal: “Per comperare un pezzo di Giappone, la cosa migliore da fare era visitare il paese, vezzo che distingueva dagli altri japonistes personaggi come il vicino di casa di Charles, Henri Cernuschi, o l’industriale Émile Guimet, non per caso due dei più grandi collezionisti di arte Orientale”, Edmund de Waal, Un’eredità di avorio e ambra, op. cit., p. 35.
- 5Gustave Achille Gaston Migeon, Les oeuvres d’art d’extrême –orient, op. cit., pp. 81–90. Si veda anche: Nora Seni, Sophie Le Tarnec, Les Camondo, op. cit., p. 161.
- 6Véronique Teboul-Bonnet, Collection au féminin, op. cit., pp. 121–122. Si veda inoltre: Lionel Lambourne, Japonisme, op. cit., pp. 153–167.
- 7Milan: A Fairly Good Attendance on Sunday at the Dog Show in Spite of Rain, in ‘The New York Herald, Paris’, Thursday, May 2, 1901, p. 3.
- 8Col termine di Zawa o Sawa si indica in Giappone una zona umida con vegetazione.
- 9Entrambe le vendite attirarono una notevole attenzione da parte della stampa, totalizzando rispettivamente 965.000 e 183.000 franchi francesi, Alice S. Legé (trad. Jennifer Donnelly) (21/03/2022), CAHEN D’ANVERS Hugo, op. cit. I cataloghi sono i seguenti: Catalogue des objets d’art et d’ameublement principalement du XVIIIe siècle, porcelaines anciennes (…) objets d’art d’Extrême-Orient (…) composant la collection de M. Hugo Cahen D’Anvers, catalogue de vente, Paris, Galerie Jean Charpentier, 7 et 8 juin 1934; Catalogue des objets d’art et d’ameublement anciens et modernes (…), objets d’art d’Extrême-Orient (…) composant la collection de M. Hugo Cahen D’Anvers, catalogue de vente, Paris, Hôtel Drouot, 11–13 juin 1934.
- 10Successive al 1920 sono le seguenti aste: 1922 Adolphe Worch; 1923 Adolphe Worch, Aloys Revilliod de Muralt; 1924 Eugène Garlin; 1925 marquis Frederick Oliver Robinson de Ripon chez Kemp; 1925 Général Cluzeau, F. Weber, J. Vallot, Charpenay; 1926 Castiglioni; 1927 P. Blondeau; 1928 M. de Ribes Christofle, vente faite à la Galerie Georges Petit; 1929 Professeur Gautier, M. Dormeuil, Madame Kann, Vicomtesse d’Andigné, Professeur Gautier; 1930 Duchesse Sforza, Roman, Refoulé; 1931 Wongyukky, Mme Orlandi; 1932 Sevadjian (con opere provenienti dall’asta Gonse del 1924); 1933 Madame G. Schwartz.
- 11Senza provenienza è anche una bella scultura in legno rappresentante Kukai-Kobo-Daishi (774–835), il monaco che fondò la scuola buddista Shingon e introdusse la pianta del tè in Giappone.
- 12Si segnala il kakemono con dipinto un falco appollaiato sul tronco di un salice, nel sigillo si legge il nome di Kano Sanraku (1559–1635), pittore e protetto del daimyō e shōgun Toyotomi Hideyoshi (1537–1598). Il dipinto proveniva dalla collezione Gonse ed era raffigurato nella monografia L’art japonais, posseduta da Hugo e messa anch’essa all’asta.
- 13Prevalentemente birmane, quelle di bronzo dorato erano soprattutto tibetane, tra le prime collezionate da un privato in Francia: Samuel Thévoz, <em>Le Tibet en France: collections, voyages, connaissances et réseaux</em>, in: <em>Collectionneurs, collecteurs et marchands d’art asiatique en France 1700–1939</em>, <em>2022</em>.
- 14Sul sacco del 1860 si veda: Bernard Brizay, Le sac du Palais d’Été. Seconde guerre de l’opium : l’expédition anglo-française de Chine en 1860, Monaco, Éditions du Rocher, 2011.
- 15Felice di condividere le sue scoperte, come faceva con le sue collezioni botaniche, Hugo contribuì dopo il trasferimento a Parigi a diverse mostre d’arte tenutesi nei primi decenni del XX secolo: il suo nome compare tra i precettori della mostra di giada tenutasi al Musée Cernuschi nel 1927, e anche tra quelli della XII Mostra delle Arti Asiatiche, sul tema “fiori e uccelli”, tenutasi presso la stessa istituzione nel 19